Rieducare Lo Sguardo: Il Potere Educativo della Street Art

Rieducare Lo Sguardo: Il Potere Educativo della Street Art

Scritto da Simone Ceschin, Art Teacher in Lower Secondary

Da anni il mio lavoro si muove in una doppia direzione: da un lato, la ricerca critica e teorica sulla Street Art come fenomeno estetico, giuridico e politico; dall’altro, l’insegnamento ai più giovani in cui cerco di rendere l’arte non un sapere astratto ma un’esperienza viva e incarnata nello spazio quotidiano. Queste due dimensioni, apparentemente lontane, si incontrano proprio nell’arte urbana. La Street Art non è soltanto un linguaggio visivo diffuso nei tessuti urbani contemporanei, ma è un dispositivo critico che interroga i nostri modi di percepire, abitare e condividere lo spazio pubblico. In un’epoca in cui lo sguardo è costantemente sollecitato ma raramente educato, ritengo che questa forma d’arte possa assumere un ruolo pedagogico decisivo. Essa non si limita a decorare, ma ci obbliga a guardare diversamente, a rinegoziare la nostra posizione nei confronti della città e delle comunità. L’educazione estetica, in questo senso, diventa un percorso filosofico e civico.

Sin dagli esordi, l’arte urbana ha messo in discussione i confini tra legittimo e illegittimo, pubblico e privato, centro e margine. Il muro urbano è un campo di tensioni che appartiene formalmente a un soggetto ed è regolato da norme giuridiche, ma al tempo stesso è attraversato da sguardi collettivi e continuamente reinterpretato da pratiche spontanee. Questa dimensione liminale è ciò che la rende filosoficamente interessante. Come hanno mostrato autori quali Jacques Rancière e Georges Didi-Huberman, la politica dell’arte non risiede solo nei contenuti, ma nella distribuzione del sensibile, ovvero nel modo in cui ciò che è visibile o dicibile viene organizzato nello spazio sociale. L’arte urbana agisce su questa soglia rendendo visibile ciò che è normalmente escluso e intervenendo negli interstizi della città per rinegoziare le mappe percettive e simboliche. Il muro è contemporaneamente supporto estetico, soglia giuridica e superficie politica.

Viviamo immersi in un flusso incessante di immagini, ma questa sovrabbondanza non produce automaticamente capacità critica. Al contrario, rischia di anestetizzare la percezione. I miei studenti, come molti giovani di oggi, abitano spazi saturi di segni visivi, digitali e fisici, senza però essere guidati a leggerli, a interrogarli, a comprenderne la portata simbolica. La Street Art, se approcciata con la giusta sensibilità educativa, può diventare una vera e propria palestra percettiva e civica. Diventa così uno strumento per sviluppare una “cittadinanza estetica”, promuovendo la capacità di partecipare attivamente alla costruzione simbolica dei luoghi che può portare ad avere un impatto sulle nostre identità e relazioni.  Questa dimensione non può essere separata dalle questioni giuridiche e politiche. Nel mio libro Street Art: Questioni giuridiche e diritto d’autore ho approfondito come la normativa vigente interagisca con la creatività urbana, ponendo interrogativi complessi su proprietà, diritto d’autore, conservazione e cancellazione. Anche questi aspetti, affrontati con i ragazzi, si rivelano strumenti di formazione civica portandoli a chiedersi qual è il confine tra intervento artistico e vandalismo?

L’arte urbana, in questo senso, è una forma d’arte profondamente filosofica. Non solo perché pone domande, ma perché lo fa nello spazio pubblico, coinvolgendo la comunità. L’educazione estetica fondata sulla Street Art non mira semplicemente a trasmettere conoscenze artistiche, ma a sviluppare modalità di esistenza nello spazio comune. Il muro, in questo senso, e l’arredo urbano, possono essere intesi come lavagne pubbliche in cui si scrivono, si cancellano e riscrivono continuamente narrazioni collettive. Insegnare a leggere ed agire su questa lavagna significa restituire ai giovani la possibilità di sentirsi parte attiva di un discorso più ampio, estetico e politico insieme.

Rieducare lo sguardo attraverso la Street Art significa restituire profondità allo spazio urbano, sottrarlo alla banalizzazione e all’indifferenza. Significa riconoscere che la città non è soltanto contenitore funzionale, ma luogo vivo e stratificato attraversato da memorie e tensioni estetiche.

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