Tutto è cominciato quasi per caso, all’interno della unit di Product Design. Valentino e Giovanni, studenti MYP5, si sono ritrovati davanti a una sfida in apparenza semplice: creare un biomateriale partendo da compost organico. Una prova scolastica, come tante. Eppure, tra i vari materiali a disposizione—micelio, canna da zucchero, fondi di caffè—è bastata una scelta intuitiva per trasformare un esperimento in un’idea più grande.
“Abbiamo scelto i fondi di caffè perché era facile da reperire e sorprendentemente veloce da lavorare,” raccontano. In poche ore, avevano tra le mani un impasto morbido, modellabile, che al tatto ricordava qualcosa di familiare: la pelle. È lì che il progetto ha preso una direzione diversa. Non più solo un compito da consegnare, ma la possibilità concreta di creare un’alternativa ecologica alla pelle animale.
Quello che avevano tra le mani era un materiale biodegradabile, economico e potenzialmente replicabile. Ma era solo un punto di partenza. Decidono allora di progettare un oggetto reale, qualcosa che chiunque potesse usare. La scelta ricade su uno svuotatasche: semplice, funzionale e perfetto per mettere alla prova le qualità del materiale.
Quello che avevano tra le mani era un materiale biodegradabile, economico e potenzialmente replicabile. Ma era solo un punto di partenza. Decidono allora di progettare un oggetto reale, qualcosa che chiunque potesse usare. La scelta ricade su uno svuotatasche: semplice, funzionale e perfetto per mettere alla prova le qualità del materiale.
Da lì, iniziano una serie di esperimenti in laboratorio. Tre sessioni diverse, ciascuna con variazioni tecniche: miscele più ossigenate grazie all’uso della frusta manuale, nuove tecniche di modellazione, test di resistenza e impermeabilità.

Valentino & Giovanni, MYP Students
“All’inizio era troppo fragile. Abbiamo provato con la vinavil diluita, ma la struttura si rompeva facilmente. Allora abbiamo pensato di usare la cera d’api per aumentarne la resistenza. Non abbiamo ancora completato quella fase, ma siamo fiduciosi.”
Durante i test, si rendono conto che il materiale è anche resistente all’acqua. Un dettaglio non da poco: significa che, con le giuste migliorie, potrebbe essere usato per realizzare portafogli, borse, o addirittura oggetti più strutturati come sedute.
Il supporto dei loro insegnanti è stato essenziale. La docente di Product Design li ha aiutati a organizzare le idee in board progettuali dettagliate, mentre la tecnica di laboratorio li ha accompagnati passo dopo passo nella produzione e nella cottura del materiale, usando i forni del programma DP. “Senza di loro, non avremmo potuto sperimentare così tanto. Dovevamo fare un solo esperimento, ma ci hanno dato lo spazio per osare, per metterci alla prova.”
In questo processo, il pensiero del futuro ha cominciato a prendere forma. Valentino e Giovanni iniziano a immaginare le potenzialità imprenditoriali del progetto. “Stiamo considerando l’idea di trasformarlo in una startup. Con stampi più grandi potremmo produrre oggetti più complessi. Ci piace l’idea di un prodotto che rispetta l’ambiente, ma che può anche avere un mercato.”
Più di ogni altra cosa, però, questo percorso ha lasciato loro una consapevolezza profonda: quella del potere trasformativo dei piccoli gesti. “Abbiamo scoperto quanto possano essere versatili i materiali organici. E quanto sia importante, oggi più che mai, trovare modi creativi e sostenibili per fare la differenza.”
In un mondo che cerca alternative, loro ne hanno creata una con le mani, partendo dai rifiuti del caffè del mattino. Una piccola rivoluzione silenziosa che profuma di futuro.